Da: Abbiamo intervistato l’incisore Giuseppe Mainini. Le opere «sono come pagine di diario»…, in «L’arte nelle Marche», n. 5, Macerata 1979, pp. 37-41. di Nello Biondi « […] La mia prima incisione è stata una piccola acquaforte, rappresentava un frutto di ippocastano nello spaccato del suo guscio spinoso: mi riuscì bene. La tecnica dell’incisione dell’acquaforte era già nelle mie mani. In seguito dei piccoli paesaggi, poi la vere impegnative nel 1924-1926 per proseguire con ritmo più intenso, alternando con la xilografia e qualche litografia. […] La prima xilografia, anzi due ex libris, risale al 1925; fu questo il mio primo impatto tra i bulini e il legno che trovai facilmente vulnerabile ed adatto ad esprimere determinati stati d’animo. Anche questa tecnica mi riuscì facile. Le prime vere xilografie direi che furono quelle di “Ascesi”. Le eseguii con vero impegno in spirito francescano e con la massima naturalezza senza lamentare insuccessi. Fu anche di quegli anni la prima litografia. “La rocca e i cipressi”, la eseguii con facilità quasi cosa che sempre avessi fatta. Mi invogliò e fu largo di consigli il compianto e carissimo amico Giuseppe Ciocca. Quanto all’uso di una o altra tecnica incisoria non è per scelta ragionata, il soggetto stesso me la suggerisce, mi si presenta esso sotto l’aspetto più adatto per realizzarlo. Dei miei lavori molti sono quelli che preferisco, rappresentano essi stati d’animo, tappe della mia vita; sono come pagine di diario che ricordano tempi, luoghi, persone. Di essi ho particolarmente cari: la litografia “Nevicata”, le xilografie di “Ascesi” e di “Prore e vele”, de “La vendemmia” e di “Pagliai al tramonto”; fra le acqueforti alcune visioni di Macerata, Assisi e Ascoli Piceno, la “Piazza delle Erbe” di Verona e quelle che ritraggono scorci della campagna e del lavoro nei campi, quali “Aratura fra gli ulivi”, “Nettando l’aratro”, “Potatura”, “Vendemmia”. Amo queste ultime opere in particolare, ora che la campagna spianata e deserta non ce ne offre più la visione, sono un omaggio alla campagna di ieri. – Perché l’acquaforte ? Un caso? Indiscutibilmente. Un invito? Forse. Fu nel lontano 1908 che, rovistando tra vecchi, giornali e riviste, mi trovai in mano un fascicolo de “Il secolo XX”. In un articolo si ricordava e celebrava il pittore e incisore Francesco Vitalini da Camerino. Erano riprodotte nel testo alcune acqueforti dello stesso artista. Ne rimasi come affascinato, mi piacquero; mi colpì particolarmente la parola “acquaforte”; che cosa volesse significare non era detto. Fatto è che essa si insinuò nella mia mente suscitando viva curiosità e un vago desiderio. Avevo circa dieci anni, che potevo saperne allora di incisione, di Arte? Ma un sogno ebbe inizio e nell’attesa di saperne di più il tempo passava. Disegnavo, dipingevo, studiavo, ma la parola acquaforte era sempre lì, nascosta ma vigile. Come dimenticarla? E venne la guerra; tre anni di vita diversa, di movimento, di altre speranze. Fu proprio durante questo periodo di vita militare che, sostando per qualche tempo a Bologna, trovai in una libreria un volumetto della Hoepli: “L’acquaforte” di Melis Marini; ne gioii più che alla scoperta di un tesoro, la mia curiosità poteva finalmente venire appagata. Nel libro c’era tutto quel che mi necessitava sapere, oltretutto il perché della parola acquaforte. Il mistero era svelato. […] La prima acquaforte era fatta, quasi un’avventura, il sogno di un ragazzo divenuto realtà. Sentii di poter proseguire, ero entrato nel mondo favoloso dell’incisione e nell’entusiasmo mi ritenni felice. La via non era facile, qualche imprevisto sempre in agguato, segreti da scoprire, accorgimenti nuovi da adottare e molta intuizione. […] I risultati mi sembra siano stati positivi, i tanti giudizi e consensi me ne hanno dato, in certo modo, conferma. L’essere poi stato chiamato ad insegnare calcografia all’Istituto del libro in Urbino è stata per me la testimonianza più ambita che mai avessi potuto desiderare: un premio, spero di averlo meritato. – Quali motivi ti spinsero ad entrare nel movimento futurista? Nessun particolare motivo, ma uno spontaneo accostamento all’idea futurista, più che come movimento quale ricerca per dare all’Arte dinamismo e nuovi sbocchi. L’esperienza era allettante e mi sono cimentato nella scomposizione di oggetti e soggetti come io avrei potuto vederli in purezza di linee e festa di colori. […] il periodo attivo è stato piuttosto breve e di esperienza, […]. Se proprio si vuol parlare di movimento, esso è stato per me il più suggestivo a confronto di tanti altri. Non è che io abbia abbandonato il futurismo. Vi ho acceduto come esperienza e le esperienze non possono durare tutta una vita. Tuttavia tale esperienza potrebbe ancora allettarmi […] ». |